Adriano Nardi personale a La Giarina Arte contemporanea di Verona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il manifesto di Mahjabina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A fianco:

 

Sesto sole

 

2004

cm 98 x 68

olio su tela

 

 

 

Comunicato Stampa

ADRIANO NARDI

L’immagine contemporanea è fatta di un sapere componibile e scomponibile, che risente delle mille contaminazioni quotidianamente prodotte e subite. Essa nella sua molteplicità risponde ad un dilagante bisogno di presenza e diffusione, distribuzione, relazione, metamorfosi, mutazione, collegamento e quante altre diavolerie si nascondono nell’universo mediale. In una sola parola, mai più di adesso l’immagine è corpo e mente.

L’immagine contemporanea si offre al fruitore come un sovra-genere, agile, economico, icastico e fors’anche ridondante, eccessivo e parossico, ma facilmente accessibile, perché curata da super-design che sono entrati in grande concorrenza con gli artisti.

Partendo da questo contesto la Galleria d’Arte Contemporanea La Giarina presenta una personale di Adriano Nardi dove si raccolgono circa 9 opere realizzate negli ultimi anni e 4 opere nuove fatte per questa occasione. Il lavoro di Nardi riporta una commistione metalinguistica tra le tecniche digitali di rappresentazione e la pittura ad olio: riflette come il centro su cui si rispecchiano gli estremi di una bellezza visionaria e concettuale. Corpi seducenti e colori catodici, femminilità geometriche e una sottile oggettualità per dire: “sostanzialmente la Pittura è organica e questa sua verità sta già nel semplice gesto ecologico della tecnica manuale (e dei suoi materiali)”. Nardi, negli ultimi quadri ad olio su tela, tende a purificare il suo sguardo, suggerendo che “rappresentare la Pittura è possibile se la consideriamo come il ready-made definitivo. Se la donna dei miei quadri incarna una meta-iconografia essa è la Pittura”.

Quindi, sostanzialmente e concettualmente, qui si dipingerebbe la Pittura ed essa, per giungere a questo eccesso, adotta traboccanti tattiche che spesso si rivelano “Fatali”: si rende disponibile ad essere fortemente attraversata e suggestionata da mille tecniche, da mille generi, da numerose archeologie e numerose strategie…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

leggi il testo in catalogo di Gabriele Perretta:Il tipo ibrido

 

“ … Così come, secondo G. Childe, nelle “ … società antiche fu la produzione agricola - anche nella sua forma più rudimentale – a fornire per la prima volta all’uomo l’opportunità e il motivo di accumulare le forme dell’eccedente, nell’ambiente economico contemporaneo l’eccedente è divenuto una norma strutturale. In effetti, l’arte è morta perché noi non possiamo aspirare all’arte, come non possiamo ritornare alle origini dell’approvvigionamento rurale. Noi l’arte ce l’abbiamo ficcata “dappertutto”, siamo pieni di arte, siamo pieni di belle immagini, di color designers, di cool hunter, di creative designer, di advertising, etc…. Le copertine delle riviste sono piene di belle immagini, di iconografia affascinante, eccitante ed accattivante. L’eccedente delle bellezze patinate, della lavorazione dell’immagine estetica ed estatica, non è risultato dell’ingegno operoso dell’arte, bensì il prodotto di una storia, la nostra storia, la storia che l’occidente capitalistico ha scelto e desiderato inderogabilmente. Potremmo quasi dire che oggi l’immagine e la sua industria viaggiano nel flusso di quelle categorie istituzionali come i fondi cerimoniali, i clan, il modo di produzione, il tributo, la rendita, il plusvalore, etc… L’eccedenza ha dispiegato il suo teorema: riempire i vuoti di esistenza che potevano farci lamentare sulle forme di indifferenza nel mondo. È così che nella società della fine del lavoro siamo tutti occupati alla ricerca dell’immagine che più ci piace. L’eccedenza dell’immagine si pone come una peculiarità produttiva ed automatica del nostro progresso tecnico. Se i teorici del design sostengono che la loro disciplina è divenuta un sistema complesso di conoscenze, i teorici della sociologia in generale dovrebbero sostenere che i rapporti umani, e non solo le loro particolari dimensioni estetiche, sono diventati gli addentellati dei mille lemmi di un grande glossario di design. La società degli artisti è bella e pronta e un super-design logorroico e ciarlone ne ha progettato il suo sistema filosofico.

Di fronte a tale assurdità, è solo schiacciando la soggettività utopica della pittura nell’oggettualità totale della reificazione mediale che il soggetto può vivere nell’età di una tecnica programmata da altri. In questa strategia, che si incontra al centro di altre strategie, in preda ad una dispersione risolutiva generalizzata, si mostra l’efficacia di usare la tecnica dall’interno e scegliere di fare tecno-pittura ed altre storie simili. È a partire da qui che il mondo della tecnica diviene un laboratorio affermativo oltre che operativo, per forzare la mano verso la ricerca, ed è da qui che nasce la possibilità di fare comunicazione tra le mille forme che la medialità esprime. È all’interno di questa complessa dimensione che nascono le figure accattivanti di Adriano Nardi che qualche volta appaiono come delle bellissime donne sensuali ed avvenenti ed altre volte come delle figure androgine e sofisticate, nuove ed egizie, misteriche ed enigmatiche, figure aneroidi ed androidi che vengono fuori dal sacco mediatico dei giornali di moda, dei rotocalchi e delle riviste di “donna moderna” e a la page. Quasi sempre, però, queste immagini nonostante conservino tutta la bellezza femminile che attrae ed affascina, appaiono come qualcos’altro rispetto al genere di sola donna, di solo gay, lesbica o eterosessuale che più riusciamo ad immaginare. La domanda sorge spontanea: chi è quella lì? Basmina è veramente una ragazza, una donna? A quale attenzione si offre il suo sguardo? Come è veramente fatta? Chi ci dice che dietro quella singola immagine di Biquìnis (1999), di Ducotone Valley (2001), di Fight-Line (2001), di Hiroglif (2003), Hurricane Camille (2002) ci sono delle donne, delle semplici bellezze femminili? O forse esse potrebbero impersonare la pittura stessa, come sostiene Nardi? Ma in quei visi è effettivamente rintracciabile la storia di una donna? Noi guardando quella immagine osiamo interrogarci sul “chi è” di quella icona, forse perché è sulla nozione di genere che Nardi ha impostato tutta la sua pittura ed è sull’estremo significato di gender che egli ci vuole solleticare e avvicinare, proponendoci icasticamente un’immagine cyber-meticcia e cyber-latinos. L’immagine di Nardi sembra che parta da un genere che ha mischiato totalmente il feticismo con l’identità di un sesso, di un corpo, di un’avvenenza e di un’autenticità. Ma forse in questa folle miscela c’è il genere e la radice della sua profonda attenzione per l’eccesso del nuovo, prodotto dalla tecnica e dal senso stesso dell’orizzonte mediale.

Noi sappiamo che il concetto di gender è una categoria sviluppata ed impiegata dalla critica femminista per indicare processi di costruzione differente del maschile e del femminile. Andando alla radice del termine, gender suona proprio come qualcosa che interviene sui processi storico-culturali, nonché semiotici e linguistici della costruzione di un significato o di un senso. Da qui la mia idea che vede una strana somiglianza (e qui vado per metafore) fra il sesso modificato della pittura e la critica stessa al sesso da parte del gender, che nella sua forma costruttiva vorrebbe opporre il corpo, la totalità del corpo alla macchina dell’apparato genitale. Qui è come se la pittura ibridandosi, modificandosi, trovando un’apertura di generi che la fa essere più accogliente e disposta alle differenze, è capace di ritrovare un corpo biologico pronto a mostrarsi con diverse identità e a confrontarsi con l’interazione di diverse culture. Insomma, così come le donne e gli uomini non sono il naturale e l’immutabile, ma delle rappresentazioni che raccolgono un insieme di modi di vita e di pratiche discorsive, anche la forma mediale che ha superato l’illusione materica della pittura include altri linguaggi per combattere il patriarcato o il matriarcato della sua artigianalità. Il gender del mediale è, dunque, la legittimazione dell’immagine totale, tutto si sovrappone e viene fuori attraverso la piacevolezza delle mappe cromatiche che disegnano la visionica di Nardi. Come nel campo della filosofia femminista il gender è ben presto diventato uno strumento di critica, diciamo che la pratica di ibridazione di Nardi lo è altrettanto e lo è, soprattutto, quando l’innesto di pittura e tecnologia, in un eterogeneo mescolamento riescono a far stridere i tratti e le tracce compositive. Più il contrasto aumenta e più la piacevolezza del gender è in atto. Potremmo dire che l’erosione della pittura diviene l’erotismo pubblicitario e fictionale della comunicazione … (G.Perretta) ”

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

sede: La Giarina Arte Contemporanea
Via Interrato dell'Acqua Morta 82, 37129 Verona
phone+fax +39 045 8032316 e-mail: info@lagiarina.it web: www.lagiarina.it
periodo: 9 ottobre-27 novembre 2004
orario: dal martedì al sabato 15.30-19.30, mattino, lunedì e festivi su appuntamento
vernissage:
sabato 9 ottobre -ore 18.30
 


 

 

 

 

 

 

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 ADRIANO NARDI